Il caso Armani ha sollevato il dibattito sul caporalato nella moda, portando il Tribunale di Milano ad aprire un’indagine

Il caso Armani ha sollevato il dibattito sul caporalato nella moda, portando il Tribunale di Milano ad aprire un’indagine

Il caso Armani rappresenta il secondo episodio di presunto sfruttamento dei lavoratori nell’industria della moda quest’anno. Dopo l’indagine sulla Alviero Martini S.p.a. a gennaio, la sezione misure di prevenzione del Tribunale di Milano ha preso provvedimenti simili nei confronti della Giorgio Armani Operations S.p.a. Quest’ultima è coinvolta in un’indagine condotta dai pm Paolo Storari e Luisa Baima Bollone e dai carabinieri del Nucleo ispettorato del lavoro, che ha evidenziato presunte irregolarità nella vigilanza sulle condizioni lavorative delle aziende a cui era stata appaltata la produzione di accessori.

Il presidente del tribunale, Fabio Roia, ha sottolineato l’importanza di avviare un tavolo di discussione sulle criticità del settore della moda, evidenziando il suo impatto sull’economia nazionale. Secondo quanto riportato dal Corriere della Sera, l’indagine ha evidenziato un presunto coinvolgimento dell’azienda appaltatrice con opifici cinesi che impiegavano manodopera irregolare e sottopagata, in condizioni di lavoro e igiene al di sotto dei minimi etici.

I giudici hanno definito questo comportamento come una “prassi illecita radicata e collaudata”, avvalorata colposamente dalla società. Ciò ha sollevato preoccupazioni riguardo alla diffusione del meccanismo dei subappalti nella filiera produttiva del settore della moda e del lusso, sottolineando l’importanza di un controllo adeguato.

La Giorgio Armani Operations S.p.a., che va precisato non è oggetto di indagine ma solo in amministrazione giudiziaria, ha dichiarato la sua piena cooperazione per chiarire la propria posizione rispetto alla vicenda. Sarà affiancata dall’amministratore giudiziario Pietro Antonio Capitini e dovrà rendere conto al tribunale dei progressi compiuti per risolvere le presunte irregolarità.